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La storia triste di Laura Boldrini. E di un lavoro che non ha più diritti

In questi giorni ho assistito a una storia triste che arriva da sinistra (ma poi, che sinistra? Va beh, questo è un altro discorso, anche se triste come la storia).

Arriva da sinistra nel senso che ha come protagonista una ex presidente della Camera che faceva parte di Sel (Sinistra ecologia e libertà), passata poi in Liberi e Uguali e poi emigrata nel Pd.

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Ci prendono per scemi, e forse lo siamo davvero

La notizia non avrebbe avuto neppure un gran risalto, se non fosse che oggi Massimo Gramellini la riprende nella sua rubrica Il caffè, prima pagina del Corriere della Sera.

Alle 12 del prossimo 3 novembre 65 uomini e donne (65 fino a ieri, ma potrebbero essere di più, per ora non si sa) impiegati nel call center Almaviva a Milano, Lombardia, dovranno presentarsi al lavoro negli uffici in contrada Cutura a Rende, provincia di Cosenza, Calabria.

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Di Gioele Dix e la passione (e i diritti) di chi lavora

L’altra sera, al Teatro Parenti di Milano, Gioele Dix ha letto “Bartleby lo scrivano” di Herman Melville. I GioveDix sono appuntamenti che mi piacciono tanto e Gioele Dix è sempre molto bravo a raccontare di scrittori e a leggere le loro storie.

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Il no dell’insegnante al lavoro senza dignità

Oggi ho letto la lettera che un’insegnante precaria di 44 anni («faccio con passione la pendolare da 13, insegno Latino, Greco e materie letterarie nei licei classici della provincia di Napoli»), ha scritto a Repubblica per spiegare perché ha rifiutato l’assunzione. Anzi, “la deportazione” come l’hanno definita tanti come lei, riferendosi alla destinazione che può essere ovunque.

Deportazione è un termine certo molto forte, così chi l’ha usato si è tirato sulla testa una bella quantità di critiche. In effetti la prima reazione, quella che si ha senza molto pensare, è: «Ma come si fa a rifiutare un posto di lavoro?». E su questo si può essere più o meno d’accordo.

Però… Però bisogna leggerla, la lettera di questa insegnante precaria di 44 anni.

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