Sono una giornalista e ho sbagliato tante volte

Era un giorno di molti molti anni fa e avevo appena iniziato a lavorare al Monferrato, che è uno dei giornali di Casale, ero giovanissima e mi era stato assegnato un incarico di grande responsabilità: le brevi di cronaca. Passavo tutto il giorno a telefonare a polizia, carabinieri, vigili del fuoco e pronto soccorso.

Allora la privacy era qualcosa di sconosciuto e io picchiavo sui tasti di una Lettera 22 notizie intitolate “Scivola e si rompe un ginocchio”, “Si taglia il dito con il temperino, lo cuciono al Santo Spirito” e altre cose così. Quel giorno si apre la porta della redazione, che era un piccolo negozio che si affacciava su via Roma, ed entra un signore anziano che si guarda intorno, vede il direttore e gli si avvicina: “Mi scusi, devo dirle una cosa… guardi…  mi spiace, sono mortificato… non avrei voluto disturbarla ma tutti stanno telefonando a mia moglie per le condoglianze…  Avete scritto che sono morto. Ma io sono vivo”.

La colpevole della morte di quel signore così amabile ero io: in una delle brevi avevo sbagliato il nome, Marino invece di un Martino che era davvero morto, facendo resuscitare il defunto e passare a miglior vita l’ancora-vivo.

E’ passato tanto tempo eppure ricordo la sofferenza per quell’errore. E l’ansia per quel giornale, che sarebbe rimasto in edicola per giorni con la notizia sbagliata.

Nella mia vita passata a scrivere articoli mi è successo altre volte di sbagliare. Lavoravo nella casa editrice di Berlusconi quando, nel resoconto di una tavola rotonda, ho invertito i nomi e le foto di un parlamentare di Forza Italia e di uno del Pd. Due pagine di testo e di foto dove il Forzista parlava come un compagno e il compagno come un uomo di destra.

Sono esempi, e ne potrei raccontare altri. Per dire che si sbaglia. Nella vita, nel lavoro, nelle piccole e grandi cose. Si sbaglia quando si fa, si sbaglia in buona fede, si sbaglia perché si è stanchi, si hanno altri pensieri, si crede di far bene e invece, e poi qualcosa si impara dall’errore, e poi si sbaglia di nuovo, e con l’età ho anche imparato a perdonarmi. E a perdonare.

In questi giorni ho seguito la vicenda del Piccolo e del suo direttore Alberto Marello. La storia tragica dei tre vigili del fuoco. L’esito dell’autopsia che ha trovato tracce di sostanze stupefacenti che nulla avevano a che fare con quanto era accaduto.

Ho letto l’articolo troppo strillato. E ho letto l’editoriale. Che sì, è proprio sbagliato, anche se credo che il senso delle parole fosse un altro (ma se sei un giornalista hai il dovere di farti capire da tutti, e se non ci riesci la responsabilità è tua).

E’ stato fatto un errore.

Ho poi letto le reazioni sui social. E lì mi ha colpito la violenza di gran parte dei commenti. Le minacce di morte, la rabbia cieca, l’aggressione verbale, l’accanimento estremo che nulla hanno a che fare con il diritto giusto dell’indignazione, della protesta, dello sdegno, della critica.

E’ un fenomeno di oggi, e non riguarda solo il Piccolo e il suo direttore.

Ed è su questo, secondo me, è su questa rabbia che dovremmo fermarci. Respirare forte e pensare. Cercare di capirne le ragioni. Discutere. Confrontarci. Con civiltà. Con rispetto.

Agli errori si può rimediare, la violenza genera violenza. Vale per un articolo di giornale, vale per tutto il resto.

@credit foto DALLARETE

 

 

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