Tutto quello che volevo: la sentenza molto speciale raccontata da Cinzia Spanò

Come si restituisce la dignità a una ragazzina di 14 anni coinvolta in un giro di prostituzione? Cosa bisogna fare perché acquisti consapevolezza e rispetto di sé?

Il tormento di una giudice, pubblico ministero in un processo a un professionista romano coinvolto in un caso di cronaca che all’epoca ha fatto molto rumore, sfocia in una sentenza sorprendente e unica. Che Cinzia Spanò racconta in “Tutto quello che volevo. Storia di una sentenza” in questi giorni al teatro Elfo Puccini di Milano.

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Cinzia Spanò io l’ho vista di persona per la prima volta ieri sera. Al teatro Elfo Puccini dove ha portato in scena “Tutto quello che volevo. Storia di una sentenza” che lei ha scritto e interpretato con la direzione di Roberto Recchia e la produzione del Teatro dell’Elfo. Era la prima nazionale, a Milano sarà fino al 19 maggio. Ve ne parlo qui sotto, anche con l’aiuto delle riflessioni di Cinzia. Io non sono una critica teatrale ma questo spettacolo lo raccomando davvero, per l’intensità e per ciò che esprime.

Come vi dicevo, ho visto Cinzia la prima volta ieri. Però la conoscevo già. E’ la ragazza di cui avevo raccontato la storia su questo blog. Che una sera tardi, una sera di pioggia, aveva dato un passaggio «a una donna che avrà l’età delle nostre madri e che guarda l’autobus andare via senza neanche protestare», una straniera che l’autista, fermo al semaforo di una circonvallazione deserta, aveva lasciato a terra facendo finta di non vedere. Una persona di nome Vita, eritrea in Italia da 27 anni, che lavorava tutti i giorni della settimana e per rientrare a casa coi mezzi impiegava più di un’ora e mezza. Vedova di un marito mai tornato dalla guerra, mamma di una figlia lasciata quando aveva due anni per poter venire a lavorare a Milano.

Quello che è accaduto quella sera lo potete leggere qui. L’avevo ripreso su questo blog perché mi aveva fatto stare meglio, io che sempre più spesso mi sento terribilmente sola in un mondo dove non solo gli autobus chiudono le porte alle donne straniere anche se è sera tardi, ma dove accadono – con il consenso di molti e l’indifferenza di molti altri – cose peggiori e crudeli.

Leggendo i pensieri di Cinzia un po’ me l’ero immaginata. L’ho ritrovata così come avevo pensato fosse sul palco ieri sera. Bravissima e sensibile, in una storia altrettanto intensa.

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Ha fatto molto scalpore, qualche anno fa, la storia di due ragazzine di 14 e 15 anni, studentesse di uno dei licei migliori della capitale, che si prostituivano dopo la scuola in un appartamento ai Parioli. I clienti appartenevano alla cosiddetta “Roma-bene”, professionisti affermati e benestanti, livello culturale medio-alto, insospettabili padri di famiglia.

“Tutto quello che volevo. Storia di una sentenza” inizia quando la strada della più piccola delle due ragazze – Laura, ma è un nome di fantasia – incrocia quella della giudice Paola Di Nicola (interpretata da Cinzia Spanò), figlia di un noto magistrato antiterrorismo e autrice del libro “La Giudice”, dove affronta il tema della differenza di genere in magistratura. Differenza che è anche  dolore, che si coglie in tutta la rappresentazione.

Paola Di Nicola è chiamata a pronunciarsi su uno dei clienti della giovane, un professionista romano di 35 anni.  Spiega Cinzia: «Lo sguardo e l’esperienza della giudice ci guidano alla scoperta di un’altra realtà, molto diversa da quella che avevamo immaginato. Attraverso un’analisi precisa dei fatti e delle circostanze, e degli effetti del reato commesso sulla giovane, la nostra opinione sugli avvenimenti e sui protagonisti si ribalta a poco a poco, costringendoci a vedere tutto l’orrore della vicenda e a riconoscere il pregiudizio che alberga anche dentro di noi».

Il lavoro della giudice Di Nicola culmina con una sentenza diversa da tutte le altre. Oltre alla reclusione e alla multa l’imputato viene condannato a un risarcimento del danno in “forma specifica” e non in denaro. Perché nessuna cifra potrebbe mai risarcire la vittima di quello che le è stato tolto. Ma anche perché «com’è possibile risarcire quello che ha barattato per denaro dandole altro denaro?» si chiede la giudice.

Da qui la decisione:

l’imputato dovrà dare alla ragazza «libri delle donne e sulle donne (Virginia Woolf, Sibilla Aleramo, Simone de Beauvoir, Emily Dickinson, Alba de Céspedes, Anna Frank e tante altre) che hanno dovuto faticosamente guadagnare la loro libertà di scelta e la loro autonomia intellettuale.

E’ in questi libri che la giovanissima potrà trovare, se lo vorrà, strumenti di conoscenza per acquisire una consapevolezza che pone al vertice la sua dignità umana».

«La sentenza di Paola Di Nicola» mi ha detto Cinzia Spanò «ha profondamente cambiato il mio sguardo rispetto a quella vicenda e mi ha permesso di fare tutta una serie di riflessioni sugli stereotipi che inquinano la nostra lettura del mondo. La sentenza ha poi fatto il giro del mondo, ne hanno parlato in Europa e negli Stati Uniti, dall’India al Canada, e recentemente è stata oggetto di un seminario alla Sorbonne di Parigi. Eppure in Italia la conoscono in pochissimi. E’ per questo che mi sono decisa a raccontarla con uno spettacolo, perché tutti noi abbiamo bisogno di nutrirci di bellezza e sapere che esistono tantissime persone che s’impegnano ogni giorno a rendere il mondo un posto migliore». (Un po’ come ha fatto anche lei, quella sera di pioggia sulla circonvallazione di Milano…).

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Cinzia Spanò (a destra) con la giudice Paola Di Nicola che ha assistito alla prima di “Tutto quello che volevo. Storia di una sentenza” al teatro Elfo Puccini di Milano.

 

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