Medici senza Frontiere Covid

Dall’8 marzo a oggi, l’intervento di Msf nell’emergenza Covid

«Era l’8 marzo. Siamo partiti da Roma per Milano su un treno vuoto. La sera abbiamo avuto un incontro in Regione Lombardia. Il 9 eravamo a Lodi dove abbiamo trovato un ospedale che stava resistendo allo tzunami dell’emergenza Covid.

Le ambulanze portavano anche 80 malati al giorno, in una struttura che mai aveva fatto i conti con una situazione del genere. E’ vero, noi di Medici senza Frontiere siamo abituati a lavorare in contesti molto difficili, ma vedere quel che abbiamo visto a Lodi, in Italia, ci ha colpito. Come ci hanno colpito le dimensioni di un’emergenza che in quei giorni sembrava ancora qualcosa di molto distante e, insieme, l’energia di sanitari esausti ma disponibili ad ascoltarci».

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L’altro giorno ho seguito via web un incontro con Michele Trainiti, direttore dei programmi Italia di Medici senza Frontiere, e Stella Egidi, responsabile medico della stessa organizzazione. Sono passati due mesi da quell’8 marzo, oggi è il 4 maggio, è partita la fase 2, si è riaperto un po’, si è tornati a lavorare, chissà cosa sarà.

Medici senza Frontiere Covid
In alto a destra Michele Trainiti, direttore dei programmi Italia di Medici senza Frontiere. Sotto Stella Egidi, responsabile medico. In alto a sinistra Maurizio Debanne, responsabile dell’ufficio stampa.

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«Presto il team di Msf si è ampliato, una ventina di persone hanno raggiunto Lodi, Codogno, Sant’Angelo Lodigiano. Non avevamo mai visto un paziente malato di Covid ma sulla gestione di un’epidemia abbiamo molta esperienza. Così il primo passo è stato quello di intervenire nelle strutture ospedaliere, innanzitutto rafforzando le competenze degli staff sulla prevenzione e la trasmissione dell’infezione. Poi allestendo aree e percorsi dedicati non solo a chi era affetto da Covid, ma anche ai sospetti contagiati e a quelli non attaccati dal virus, in modo che non venissero mai in contatto tra loro».

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Cerca di capire, mi sono detta dal primo giorno di questo buco nero nel quale siamo caduti. Cerca di ricordarti che non è solo un brutto film. Eppure, due mesi dopo, non riesco ancora a immaginare un mondo in cui non ci si possa muovere liberamente, viaggiare, incontrare amici e persone nuove, raccontare storie dopo averle vissute e non soltanto guardate su un monitor di un computer.

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«Ci sono aspetti specifici in ogni epidemia. Ma anche strategie applicabili in tutti i contesti che noi di Msf abbiamo appreso in anni di interventi in Paesi dove le risorse sono molto più limitate. E dove bisogna essere molto creativi per trovare risposte che aiutino chi ne è coinvolto, i sanitari e le comunità. Così questa nostra esperienza abbiamo provato a replicarla in Italia per l’emergenza Covid. Non solo negli ospedali, ma anche in strutture vulnerabili come le Rsa. Ora stiamo operando in 27 case di riposo in Lombardia e nelle Marche, nelle aree di Ancona e Fabriano».

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Gli anziani, i più fragili. E il sospetto che in molti casi siano stati lasciati morire per incuria, incompetenza e chissà cos’altro. E’ qualcosa che non ci lascerà più. Una macchia nera che porteremo con noi per sempre. Di fronte a certe situazioni si fa fatica anche solo a sperare nella giustizia. Ma chi è responsabile dovrà pagare.

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«Ci siamo concentrati sulla medicina di primo livello, quella dei medici di famiglia, per rafforzare i controlli e gestire a domicilio i casi meno gravi. Un intervento che è la prima barriera al virus, il primo filtro che consente di non sovraccaricare gli ospedali. Nelle Marche usiamo ecografie portatili. Nel lodigiano i saturimetri vengono consegnati ai pazienti isolati a domicilio che inviano i loro parametri vitali due volte al giorno a una centrale operativa tramite un software apposito. Quando i parametri si alterano scatta un segnale di allerta e interviene il medico per una valutazione più approfondita. O il ricovero in ospedale».

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Mi sveglio al mattino e per qualche decimo di secondo mi chiedo: è successo qualcosa, ma cosa? Poi mi ricordo che non posso vedere le mie sorelle, i miei amici, né uscire dalla Lombardia. Che ho dovuto dire addio a un bel po’ di incarichi di lavoro in Italia e anche all’estero, annullati o rinviati all’anno prossimo. Forse, speriamo.

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«Importantissimo è il supporto psicologico. Su cui ci stiamo concentrando perché nei prossimi mesi l’epidemia avrà ripercussioni psicologiche anche pesanti sulla popolazione. Ci dedichiamo di persona ai pazienti e alle famiglie nelle aree dove operiamo e al personale sanitario sotto stress. Da remoto ci colleghiamo con tutta Italia, soprattutto per formare gli operatori».

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Eppure siamo fortunate, mi diceva un’amica. Viviamo in un Paese dove curarsi è possibile, pur tra le difficoltà.

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«Sul fronte Covid l’Italia è stato il nostro primo intervento. Oggi gli infettivologi, gli epidemiologi, gli anestesisti, gli infermieri e i logisti di Medici senza Frontiere sono in azione in oltre 70 Paesi tra Europa, Africa, Medio Oriente, Asia, Oceania e Sudamerica. E se l’Europa ha sistemi sanitari avanzati, ci sono aree dove mancano le risorse essenziali. La malattia richiede una grande quantità di ossigeno. E macchine che lo somministrino. Ma in Mali ci sono 5 ventilatori in tutto. In Venezuela lunghi blackout lasciano Caracas e il Paese senza energia elettrica e non ci sono generatori di emergenza. Sono esempi. E non è tutto. Non ci sono aerei per raggiungere le missioni, per portare materiale di protezione come mascherine e guanti in ospedali che ne sono completamente sguarniti. Non ci sono voli per riportare a casa il personale espatriato a rischio Covid per età o patologie. O per inviarne altro. Così rischiano di risentirne i progetti che stiamo seguendo su emergenze diverse. Nelle epidemie di ebola molte persone muoiono di altre patologie perché gli ospedali chiudono. La grande sfida è mantenere i progetti aperti prima della pandemia. Continuano a esistere bisogni che vogliamo affrontare operando in sicurezza».

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Arriverà una cura, un vaccino, mi dico. Ci stanno lavorando in tanti, la scienza è avanzatissima, tra qualche mese il Covid non farà più paura, e potremo di nuovo essere liberi.

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«Si stanno sperimentando più di 50 vaccini, e tre già sull’uomo. Ma è difficile prevedere cosa sarà. Così per i farmaci, alcuni sono promettenti ma non possiamo mettere fretta alla scienza perché deve avere il tempo per valutarne l’efficacia e la sicurezza. Quello su cui è importantissimo lavorare da subito è evitare il rischio che interessi di nazioni e di singole case farmaceutiche impediscano l’accesso alle cure e ai vaccini a tutti. Anche in Italia Msf è impegnata a sensibilizzare affinché, una volta trovati, tante industrie farmaceutiche possano produrre farmaci e vaccini a prezzi sostenibili per tutti i Paesi del mondo. E’ di pochi giorni fa l’appello al ministero della Salute su questo tema firmato – tra i primi – da Silvio Garattini, presidente dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, e da Claudia Lodesani, presidente di Medici senza Frontiere».

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Oggi sono uscita, e al solito angolo non c’era la persona a cui il rosticcere offre tutti i giorni il pranzo, il panettiere le brioche e i panini, e chi passa un euro in cambio di un sorriso. Dove sarà finito, mi sono chiesta. Perché ci dicono di restate a casa. Ma chi casa non ce l’ha?

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«A Roma collaboriamo con la Regione per la messa in sicurezza dei centri dove chi è positivo o sospetto di positività viene accolto e tolto dalla strada. Per i migranti abbiamo istituito una linea telefonica per chi un medico di famiglia non ce l’ha. Rispondono un dottore e un mediatore culturale, che traduce nelle lingue di chi chiama. Abbiamo anche un team mobile che interviene per visitare chi sta male e valutare il ricovero in ospedale».

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