Tutti gli articoli di Monica Triglia

Il no dell’insegnante al lavoro senza dignità

Oggi ho letto la lettera che un’insegnante precaria di 44 anni («faccio con passione la pendolare da 13, insegno Latino, Greco e materie letterarie nei licei classici della provincia di Napoli»), ha scritto a Repubblica per spiegare perché ha rifiutato l’assunzione. Anzi, “la deportazione” come l’hanno definita tanti come lei, riferendosi alla destinazione che può essere ovunque.

Deportazione è un termine certo molto forte, così chi l’ha usato si è tirato sulla testa una bella quantità di critiche. In effetti la prima reazione, quella che si ha senza molto pensare, è: «Ma come si fa a rifiutare un posto di lavoro?». E su questo si può essere più o meno d’accordo.

Però… Però bisogna leggerla, la lettera di questa insegnante precaria di 44 anni.

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Contro l’insulto a Mika #rompiamoilsilenzio

Ci sono brutte storie che a volte si rivelano positive. Io sono convinta che quella dell’insulto omofobo al cantante anglo-libanese Mika sia una di queste.

Una storia iniziata in modo odioso (“frocio” scritto su un manifesto che pubblicizzava un suo prossimo concerto a Firenze) ma conclusa bene, con la solidarietà convinta di tanti e un “passaparola” sui social che conferma che i pregiudizi cattivi si possono vincere se – su di loro e su chi li ha – tutti insieme si rompe il silenzio.

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Oggi sono stata ad Auschwitz

Ewa è una ragazza polacca bionda e sottile, ha una sciarpa leggera al collo e lì ha agganciato un microfono che permetterà a noi che la seguiamo di non perdere neppure una delle sue parole.

Ewa è la guida che accompagna me e un altro piccolo gruppo di italiani a visitare i campi di Auschwitz e Birkenau, poco più di 50 chilometri da Cracovia, dove almeno una volta nella vita bisogna andare.

E’ un dovere essere qui, dovrebbero venirci tutti, io ho aspettato troppi anni mi dico mentre entro. Quando passo sotto la scritta “Arbeit macht frei” sento fortissima la tentazione di girarmi e tornare indietro. E’ brutto dirlo ma vorrei proprio andarmene.

Invece vado avanti.

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Romeo e del perché non si può vivere senza un gatto (o un cane)

 

Quando ero bambina (e poi ragazza) a casa mia gli animali erano vietati. Ma proprio proibiti proibiti.

Un cane o un gatto? ASSOLUTAMENTE NO mi sono sentita rispondere nei primi vent’anni della mia esistenza: avrebbero portato pelo e sporcizia nel nostro ordinatissimo e perennemente tirato a lucido alloggio.

Non me l’ha insegnato nessuno, eppure già allora “sapevo” che avrei avuto una vita migliore se fossi cresciuta insieme a un quattrozampe. Ma tant’è…

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