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Riina e la morte dignitosa (in carcere)

E’ morto all’alba del 17 novembre Totò Riina, il “capo dei capi” di Cosa Nostra che non si era mai pentito. Lo scorso giugno si era parlato della possibilità di farlo uscire dal carcere, per non farlo morire dietro le sbarre. Le polemiche erano state violentissime. Qui le considerazioni di allora.

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Allora. Primo. Nessuno di noi è a conoscenza degli elementi che servirebbero per poter dare un giudizio sereno sulla “morte dignitosa” di cui avrebbe diritto – come tutti – anche Totò Riina.

Quali sono veramente le condizioni di salute del boss dei boss? E – soprattutto – quanto è forte e determinante ancora il suo ruolo nell’organizzazione mafiosa? Ricordiamoci che solo due anni fa Riina aveva ordinato dal carcere di Opera, dove era rinchiuso allora, la morte del Procuratore di Palermo Antonino Di Matteo.

Secondo. C’è un po’ di confusione sul pronunciamento della Cassazione. Che non ha sancito che Riina se ne può uscire dal carcere per andarsene ai domiciliari, ma che il diritto a morire dignitosamente va assicurato a ogni detenuto, Totò Riina compreso.

Da qui, i giudici del tribunale dovranno esaminare la richiesta dei difensori di Riina e verificare se la carcerazione “possa comportare una sofferenza e un’afflizione di tale intensità” da andare oltre la “legittima esecuzione di una pena”.

Terzo. Una morte dignitosa può essere tale solo fuori dal carcere? Penso di no. Anzi, credo proprio di no. Un Paese civile garantisce dignitose condizioni di vita (e di morte) a chi è rinchiuso in prigione, anche se per reati feroci e orrendi come quelli di cui si è macchiato Riina. Che poi l’Italia non brilli per civiltà, ok… Però…

E quindi? Secondo me ha detto bene la presidente della commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi.

«Dopo terribili stragi e tanto sangue, il più feroce capo di Cosa Nostra è stato assicurato alla giustizia e condannato all’ergastolo. Certo, è giusto garantire la dignità della morte anche a un tale criminale: Riina è detenuto nel carcere di Parma dove gli vengono assicurate cure mediche in un centro clinico di eccellenza.

Ma non per questo va trasferito altrove, men che meno agli arresti domiciliari, dove bisognerebbe predisporre eccezionali misure di sicurezza e scongiurare il rischio di trasformare la casa di Riina in un santuario di mafia».

Io aggiungo che tenerlo in prigione ha anche un valore simbolico: segno di rispetto per il dolore insanabile dei famigliari di coloro a cui Riina ha negato una morte dignitosa come quella che oggi chiede di avere.

Infine. Detto tutto questo e detto soprattutto che Riina può morire dignitosamente in carcere, penso che andrebbero evitati quei commenti (tanti) che ho letto su questa storia.

Commenti che esprimono sete di vendetta. Che aggiungono orrore a orrore.

Augurare il male a chi di questo male è la feroce espressione non porta a nulla. E sta alla nostra dignità di vivi esserne consapevoli.

 

 

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