QUESTO È UN BAMBINO

È un bambino e non ha più di 10 anni. Vestito con una divisa mimetica, è in piedi accanto a un adulto, un militante dell’Isis, lo Stato Islamico. Davanti a lui, in ginocchio nella solita tuta arancione che i jihadisti fanno indossare ai prigionieri, c’è Mohammad Ismail, una manciata di anni più di lui, accusato di essere una spia del Mossad.

Il bambino gli punta la pistola alla testa. Lo guarda negli occhi. E gli spara in fronte. Poi lo finisce con il colpo di grazia. E alza l’arma verso il cielo ed esulta, come uno jihadista vero.

Eccolo, l’ennesimo filmato dell’orrore.

Non bastassero le decapitazioni. Non bastassero le immagini del pilota giordano bruciato vivo all’inizio di gennaio, della fiamma che, lenta, corre verso quell’uomo chiuso in una gabbia, la tuta arancione imbevuta di benzina. Ripreso senza pietà, mentre muore.

Oggi, però, c’è un bambino che guarda negli occhi il ragazzo che sta per uccidere. E che spara a sangue freddo. “Usato” dall’Isis per amplificare l’orrore. Come il ragazzino che, mesi fa, aveva giustiziato due prigionieri.

«L’Isis utilizza i bambini per mostrare la brutalità nel preparare le future generazioni di combattenti dello Stato Islamico» ha scritto Rita Katz, direttrice del Site, il gruppo di intelligence che monitora le attività jihadiste. «In passato abbiamo visto altre esecuzioni per mano di bambini, ma qui il bambino guarda direttamente a Ismail prima di sparare. È evidente che è stato addestrato, che ha subito un vero e proprio lavaggio del cervello».

Il filmato è in Rete. È facile da trovare, ma io non lo linko.

C’è chi dice che è giusto far vedere, per far capire l’orrore. E chi invece sostiene che far vedere è il più grosso tra gli errori, perché diffondere certe immagini è ciò che vogliono i terroristi dell’Isis.

Non ho la risposta giusta, ma non lo linko. È quello che sento di fare oggi, davanti alle immagini di quel povero ostaggio. E a quelle di quel povero bambino che spara.

Immagine DALLARETE

 

 

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