Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace 2014

Il Nobel di Malala è il Nobel di tutte le ragazze coraggiose

Ci sono momenti in cui mi chiedo dove nasca il coraggio.
Ho avuto la fortuna di poter visitare i luoghi di Malala Yousafzai, la ragazza pakistana a cui oggi è stato assegnato il premio Nobel per la pace insieme a Kailash Satyarthi, attivista indiano per i diritti dei bambini.

Chi sia Malala credo che lo sappiate tutti. Il 9 ottobre 2012, a Mingora, la città della Valle dello Swat, Malala, 15 anni, esce da scuola e con le sue compagne prende l’autobus per tornare a casa. Un uomo armato sale e le spara tre colpi in faccia. È la ritorsione dei talebani contro una ragazzina che, fin da bambina, da un blog della Bbc grida al mondo il desiderio e la volontà di leggere e studiare, tanto da ricevere dal governo di Islamabad il primo premio nazionale per la pace.

Quel 9 ottobre 2012 Malala è creduta morta. E invece si salva, e da Peshawar dove è ricoverata vola a Birmingham, in Inghilterra, e diventa il simbolo universale delle donne che combattono per il diritto alla cultura e al sapere anche e soprattutto in quei Paesi dove sono costrette al silenzio.

Sono stata nella Valle dello Swat tre anni fa. È una regione di grandi tradizioni e cultura che in passato veniva chiamata la Svizzera del Pakistan: le famiglie andavano a passeggiare tra le montagne e facevano picnic sulle rive del fiume. Fino a una manciata di anni fa le bambine dello Swat potevano tranquillamente frequentare una delle 500 scuole femminili. Poi, dal 2007, l’offensiva dei talebani: gran parte degli istituti scolastici sono stati incendiati o fatti saltare in aria. I talebani sparano sulle scolaresche quando escono dalle aule. Decine di insegnanti sono uccisi.

Così, di fronte a tutto questo, che ho visto con i miei occhi, mi chiedo dove nasca il coraggio. E quanto grande sia la forza (e forse la disperazione) che porta una ragazzina a osare là dove anche gli adulti temono persino di alzare la voce. Nel Pakistan dei talebani, ma non solo. Sono tanti i Paesi dove la scuola, la libertà, la salute non sono diritti scontati, ma obiettivi quasi irraggiungibili, veri sogni per cui però le bambine e le donne sono le prime a battersi.

Ecco perché credo che il Nobel a Malala sia un Nobel per tutte le ragazze che non si piegano alla paura, forti di un coraggio straordinario che noi nati in occidente facciamo fatica persino a immaginare.

È un Nobel per le africane, che devono tacere la propria sieropositività perché altrimenti i mariti (che le hanno infettate) le ripudierebbero, ma che insegnano, di nascosto, alle figlie a proteggersi dal virus. È un Nobel per le haitiane, che dopo aver perso tutto nel terremoto e nell’epidemia di colera, trovano la forza di dire addio ai riti vudù, a cui le loro popolazioni sono ancora legate, e si ingegnano a spiegare nei villaggi che prevenire e curare le malattie è possibile affidandosi ai medici. È un Nobel per le bambine di tante parti del mondo povero che ho visto percorrere, sole e di notte, decine di chilometri a piedi per raggiungere al mattino piccole aule di piccole scuole perse in deserti di sabbia rossa. Il libro in mano, il sorriso stampato sul volto, ignare dell’esistenza di un mondo ricco che dà tutto per scontato, ma consapevoli che la scuola potrà fare la differenza.

Malala è una di loro. Il premio Nobel per la pace è di tutte.

 

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