Una bambina accolta in un centro di Msf a Jamshoro, cittadina che si trova a una ventina di chilometri da Hyderabad e a 150 chilometri a nordest di KarachI.

Provate ad ascoltare la storia di Farzana

Accendo il computer e leggo della venticinquenne pachistana, incinta di tre mesi, lapidata a morte dalla sua stessa famiglia perché aveva sposato, nonostante l’opposizione del padre, l’uomo che amava. Si chiamava Farzana Parveen e l’hanno aggredita in venti, tra fratelli e cugini, con pietre e bastoni, in pieno giorno a Lahore, davanti al tribunale dove la ragazza avrebbe dovuto testimoniare di non essere stata rapita dal marito Mohammad Iqbal, come invece sosteneva il padre, ma di averlo sposato per libera scelta.

Quando due anni fa sono tornata dal Pakistan, dov’ero andata con Medici senza Frontiere, ho pensato che nessuno avrebbe mai voluto ascoltare ciò che io invece mi preparavo a raccontare. Storie feroci e assurde e ingiuste. Come quella di Saima, 17 anni, che ricorda  quella di Farzana.

Saima, dal distretto di Bahawalpur dove viveva, era fuggita a Karachi per stare con il ragazzo che si era scelta e non con l’uomo a cui la famiglia l’aveva destinata. Convinta dalla madre a tornare a casa, era stata ammazzata con la corrente elettrica dal padre e da uno zio. O come quella di Musarrat, che abitava a Kabirwala, nel Punjab, quattro parti e quattro femmine, colpa imperdonabile per il marito che con un’accetta le aveva mozzato le mani.

Scrivevo di queste donne e stavo male. Scrivevo e chiedevo a me stessa: «Se tu ignorassi, vorresti sapere?». Scrivevo e cercavo di convincermi: «Sono storie estreme e rare», ma sapevo che non era così.

Non so se volete ascoltarmi. Io, con fatica e sofferenza, ho deciso di parlare. E di scrivere. C’è troppo silenzio e indifferenza nei confronti di quella parte del mondo dove le donne non possono nulla, dove le bambine mangiano solo se ai fratelli maschi avanza il cibo, dove le ragazzine sono vendute dalle famiglie nel commercio dei matrimoni, senz’altro futuro se non quello di esistere per obbedire ai padri, ai fratelli, ai mariti.

«Ho ucciso mia figlia perché lei aveva insultato la nostra famiglia sposando un uomo senza il nostro consenso, e non ho nessun rimpianto per questo» ha detto il padre della ragazza lapidata a Lahore. E’ stato arrestato, ma probabilmente uscirà presto dal carcere.  In Pakistan, gli uomini che commettono violenza contro le donne sono quasi sempre assolti e la legge permette alla famiglia della vittima di perdonare l’assassino o di risolvere la questione con un risarcimento in denaro.

Non so se volete ascoltarmi. Ma io continuerò a parlarne e a scriverne. Per rompere – quel poco che posso – un silenzio che nega a queste donne ogni diritto. E  la vita.

 

 

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