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Non è New York senza (almeno) un uragano

Un uragano è un uragano.

E io, fino all’agosto del 2011, lo avevo visto solo nei telegiornali, nei miei amatissimi film catastrofici oppure su Weather Channel, che è il canale televisivo più divertente d’America.

Weather Channel è l’apoteosi della catastrofe naturale: passerei ore e giorni a guardare incantata gli inviati nei tornado e nelle tempeste. Zuppi nei loro impermeabilini di plastica, attaccati con un braccio a un palo della luce per non volare via, brandiscono il microfono e urlano alla telecamera: «La pioggia è violenta, il vento aumenta di potenza».

Fossi nata in America avrei fatto quel mestiere lì.

Eppure “l’hurricane” Irene mi aveva preso alla sprovvista. Ero a New York quando è partito l’allarme. Tutte le tv (e non solo Weather Channel) avevano interrotto le trasmissioni per aggiornare la sempre più preoccupata popolazione sul tragitto di Irene, che invece di girare sui Caraibi come fanno tutti gli uragani stava per abbattersi sulla Grande Mela.

È stata una grande avventura: in hotel è scattato il piano di emergenza, ci hanno fatto salire al trentesimo piano e poi scendere le scale al buio, perché imparassimo a muoverci senza panico, e spiegato che avremmo dovuto dormire vestiti per poter scappare più in fretta (dove? chissà!). Le metropolitane e gli aeroporti sono stati chiusi, gli autobus hanno smesso di circolare. E sul cellulare mi è arrivato il messaggio dell’Unità di crisi della Farnesina che stava rintracciando gli italiani in quel momento a New York.

Per me è stato vivere in un film. Non dimenticherò mai i titoli catastrofisti dei giornali italiani (molto più tragici di quelli locali). La preoccupazione dei miei amici (scalda il cuore sentire l’ansia degli altri per te…) . E  l’emozione strana nell’osservare una New York completamente deserta: nessuno ma proprio nessuno in strada tranne tantissimi pompieri.

L’uragano Irene è arrivato alle 4 del mattino del 27 agosto 2011 e se ne è andato due ore dopo senza fare troppi danni (però è stato uno spettacolo, che potete vedere cliccando qui). Un evento straordinario per New York (ho pensato io), qualcosa destinato a non accadere mai più.

E invece…

Sono tornata a New York a a gennaio del 2014, nel bel mezzo di una straordinaria emergenza gelo. La “grande tempesta” Hercules aveva fatto crollare le temperature a meno 25 (che il vento fa percepire come meno 40, un freddo tanto freddo che non riesco a descrivere…) e provocato nevicate eccezionali. “Mai vista una cosa così, io non me la ricordo” mi dicevano tutti quelli che incontravo. In tv, gli inviati di Weather Channel erano come impazziti, coperti di neve come alberi di Natale, gli occhiali che sembravano usciti da un freezer, e persino gli scoiattoli di Central Park avevano la pelliccia brinata. Un evento straordinario per New York (ho pensato io), qualcosa destinato a non accadere mai più.

E invece…

Sono tornata a New York all’inizio del mese di luglio del 2014, e per la prima volta nella mia vita non ho acceso la tv. Ero al sole a Battery Park, là dove si vede la statua della Libertà, quando però ho ricevuto un sms dall’Italia. «Sta arrivando l’uragano Arthur e tu, come sempre, sei lì» mi avvisavano, e il tono di quel messaggio aveva il sapore della beffa. Arthur, venti a 115 chilometri orari, primo di una stagione straordinariamente in anticipo, ha poi pensato bene di cambiare strada.

Ma è vero, ormai non è New York senza (almeno) un uragano.

E, a parte i sorrisi degli amici, non è più possibile chiudere gli occhi su cambiamenti climatici che hanno conseguenze sempre più pesanti. Il nuovo rapporto sul clima presentato a Berlino dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico creato dalle Nazioni Unite, ha appena lanciato un nuovo allarme. Tra il 2000 e il 2010 le emissioni di gas serra hanno raggiunto livelli record e sono aumentate più rapidamente dei tre decenni precedenti. La temperatura globale è cresciuta di conseguenza e, con lei, le  catastrofi naturali.

Bisogna agire subito, hanno detto gli scienziati. Ennesimo appello rivolto a un mondo ancora troppo indifferente. Io mi chiedo se qualcuno lo ascolterà. O se questo “grido d’allarme” sarà soffocato dal solito, terribile silenzio.

Quello che ho “ascoltato” a New York poco prima che arrivasse Irene. Il primo uragano della mia vita.

 

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