Bombardamenti israeliani su Gaza

Voci dalla Palestina, nei giorni della guerra

Sono ore di guerra nella Striscia di Gaza, invasa dagli israeliani dopo giorni di attacchi reciproci tra Hamas e Israele.

Questa nuova fase di conflitto è stata scatenata dal rapimento a Hebron, in Cisgiordania, di tre ragazzi israeliani. Dopo il ritrovamento dei loro corpi il 30 giugno, forse per ritorsione un sedicenne palestinese è stato rapito e ucciso da tre israeliani a Gerusalemme est. A questo punto Hamas ha  avviato un’offensiva contro Israele e razzi hanno cominciato a piovere su Tel Aviv e Gerusalemme. Da subito il governo israeliano ha annunciato una reazione armata che, dopo un tentativo fallito di tregua, è culminata nell’invasione della Striscia, il 17 luglio.

Di Gianluca Panella, fotografo che da giorni è Gaza a documentare le tensioni in quell’area, ho un messaggio su Facebook arrivato ieri sera. «Gli israeliani sono entrati. Stanno bombardando molto sia da terra sia dal mare. Io sto bene».
Parlare con lui in queste ore è molto difficile, ma il giorno precedente ci eravamo sentiti al telefono. «Sono stato al funerale di cinque vittime dei bombardamenti israeliani» mi aveva detto. «Una di loro era madre di due bambini, che ora sono rimasti soli con il papà. C’è tanto dolore in ogni morte, ma quello di quei due piccoli l’ho trovato devastante. Avevano perso la mamma, il loro punto di riferimento in una situazione così drammatica».
Gianluca conosce molto bene Gaza. Da mesi sta lavorando a un progetto per raccontare i combattenti di Hamas e i gruppi di resistenza, «sono interessato al loro lato umano, all’aspetto umano di chi indossa il passamontagna per combattere». Ma è in contatto anche con tanta gente comune che è contro alla guerra ed è contro Hamas. «Persone normali che vivono nell’incubo delle incursioni israeliane a caccia di terroristi. Devastano le loro case, li costringono nella Striscia come fosse una prigione a cielo aperto. Anche quelli che sperano nella pace, questa volta sono contrari a una tregua. Sono convinti che Israele voglia ammazzarli tutti, in una specie di pulizia etnica».

Alessandra Saibene è una giovane  psicologa milanese alla sua prima missione con Medici senza Frontiere. Dallo scorso febbraio è la coordinatrice delle attività di salute mentale di Msf a Hebron, in Cisgiordania, nei Territori palestinesi, là dove convivono con grandi tensioni palestinesi e coloni israeliani e dove sono stati trovati i corpi dei tre ragazzi israeliani rapiti e uccisi.
«Abbiamo capito subito che il rapimento avrebbe comportato delle conseguenze» racconta. «Così abbiamo preparato un piano di emergenza per aiutare la popolazione a sopportare questa ennesima fase di violenza».
A Hebron Alessandra si occupa di bambini traumatizzati: «Non dormono, fanno pipì nel letto, sono ossessionati dalla paura». Ma anche di adulti con crisi d’ansia: «Temono le incursioni dei soldati israeliani nelle case, non riescono a immaginare una vita normale».
Dopo l’inizio dei bombardamenti, Alessandra di notte rientra a Gerusalemme. Tra tante storie che potrebbe raccontare sceglie «quella della donna palestinese che per due volte ha perso il bambino che aspettava perché aggredita da un’altra donna colona. Non c’è solidarietà nemmeno tra madri, non c’è pietà neppure per i bambini».

Gianluca hai paura? «La paura ti salva» risponde.

Alessandra hai paura? «L’ho avuta la notte del ritrovamento dei corpi dei tre ragazzi israeliani, quando l’esercito è entrato a Hebron» racconta. «È stata una notte di incursioni ed esplosioni, anche nelle case vicine  a quella dove abitiamo. Per qualche giorno ho sobbalzato a ogni piccolo rumore».

 

 

 

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