La salvezza della Siria è nelle mani delle donne

La Siria è un Paese in guerra.
Lo è dal marzo 2011, quando migliaia di persone cominciarono a protestare contro il regime del presidente Bashar al-Assad ad Aleppo e Damasco. Nonostante la repressione violentissima, le proteste si diffusero. A maggio Assad schierò l’esercito nelle strade. Poche settimane dopo, con la nascita dei primi gruppi ribelli, cominciò un conflitto civile che continua ancora oggi. E che in un Paese di 22 milioni abitanti, ha provocato finora 140 mila morti, 3 milioni di profughi che hanno trovato riparo soprattutto in Egitto, Iraq, Libano e Giordania, e almeno altri 5 milioni di profughi interni, cioè persone costrette ad abbandonare le loro case.

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Cinque minuti di straordinaria infelicità

Il rosticcere sotto casa, quello che mi salva quando il frigo è vuoto e mi guarda con tenerezza quando addito le carote e gli chiedo cosa sono, inforca le coste bollite e mi dice nel suo milanese madrelingua: «A mi el me pias no, mi a soo minga Prandelli, che po’ anche lu…, ma Balotelli no! No no no!». Io lo guardo con un filo d’ansia impugnare il forchettone come fosse un macete. Lui scuote la testa. E dice, e sembra un singhiozzo: «Questo no».

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