Bordoni Stocazzo Pococondriaco

Maurizio Sbordoni, che ha chiamato la sua casa editrice Stocazzo

Sono una che va di corsa. Che sui social passa più volte al giorno ma legge tutto velocemente. Però accade che a volte qualche frase mi colpisca. E allora mi fermo.

Qualche settimana fa mi sono presa il tempo per leggere un post di Maurizio Sbordoni. Che è uno scrittore romano di 50 anni con un’aria da ragazzo – almeno a guardare le foto perché di persona non l’ho mai incontrato – e all’attivo tre libri pubblicati più uno. Quest’uno, l’ultimo, si intitola Pococondriaco ed è da poco uscito per Stocazzo editore, di per sé nome un po’ speciale, per dirla con gentilezza. Stocazzo l’ha fondata lo stesso Sbordoni, ma di questo vi racconto dopo.

Nel post sulla sua pagina Facebook – era il 4 agosto – Sbordoni raccontava dell’appuntamento a cui è stato chiamato in uno studio di comunicazione in un grattacielo nel cuore di Milano. «Sono sei, cinque giovanissimi e uno abbastanza giovane, che si muove da capo. Sono tutti in giacca e cravatta, i pantaloni stretti a sigaretta, le scarpe lucide che fuoriescono dagli orli… Io ho una maglietta dei Red Sox e un paio di bermuda color panna… Il capo sorride e mi ordina, galante, di sedermi. Mi comincia a parlare di Stocazzo, della sua idea alla mia idea, del futuro dell’editoria. Il suo eloquio è un uragano di brand positioning, product brand, visual, programmatic advertising… “Lei è bravo” mi elogia, “ma da adesso in poi avrebbe bisogno di gente del mestiere, professional”.

Poi mi chiede: “Qual è il suo segreto per vendere? ”. “Il cuore” rispondo io. La platea di sapientoni rimane interdetta, forse ho parlato in tono troppo lieve. “Mi spiace” aggiungo “che sia una parola italiana …” “Il cuore?” chiede il capo, che adesso si è alzato. “Sì, il cuore. Senza il cuore, non si vende nulla” gli dico».

Beh, la storia mi ha fatto un po’ ridere, ma amaro, nel senso che ne ho viste anch’io di situazioni del genere, ho provato lo stesso disagio ma non sempre sono riuscita a spiegare quanto fosse importante il cuore ancora più che il marketing nelle cose che si fanno.

Nei suoi libri Sbordoni il cuore lo usa da sempre. In Mi chiamo Edgar Freeman (Editrice Zona), racconta di un bambino down che indaga sull’apparente suicidio di un vicino di casa. Stavo soffrendo ma mi hai interrotto (edizioni San Paolo) è un romanzo autobiografico sulla morte per cancro della mamma. Nel 2010 ha venduto 25 mila copie in poche settimane, si è parlato di candidature a premi e a versioni televisive, ma Sbordoni ha scelto il silenzio. Fino allo scorso anno quando per Elliot è uscito Quarks! che narra di una donna in preda a psicosi.

Ed ecco che a questo punto entra in gioco Stocazzo editore.

A me quelli che oggi si impegnano nell’editoria affascinano. E’ un mondo così sottosopra (molto più sotto che sopra) che bisogna avere coraggio, oppure essere degli storditoni, per decidere anche solo di provarci. Così ho scritto a Sbordoni e gli ho chiesto come diavolo avesse deciso di pubblicare nella “sua” Stocazzo.

Lui è simpatico e mi ha risposto subito. «Dopo anni trascorsi a inghiottire bocconi amari, ho trovato un editore capace, che mi capisce, mi supporta come autore, mi incoraggia e ha una linea editoriale snella e di qualità: pubblica solo me. Un editore che permette alla mia opera di arrivare al lettore e, soprattutto, paga il mio lavoro di autore. Stocazzo, penserai tu, fa tutte queste cose, e addirittura ti paga i diritti d’autore? Infatti si chiama Stocazzo editore. L’editore sono io».

Ma perché uno che racconta storie tanto intense e preferisce il cuore al brand positioning decide di chiamare la sua casa editrice Stocazzo che non è proprio un nome da genere letterario?

«Stocazzo nasce come grido di protesta, di dolore, di ribellione. Non credo sarebbe stato adatto chiamare una casa editrice di rottura nei confronti del mondo editoriale Cucciolo edizioni oppure Empatia Profonda Incastonata In Un Bracciale Di Comprensione. Tra l’altro, la parolaccia scelta non è stata casuale. Ogni volta che qualcuno sentiva i nomi altisonanti delle case editrici con cui avevo pubblicato in passato si rallegrava, compiacendosi, mentre io – pensando a quello che avevano fatto per me – esclamavo: se, stocazzo. E allora Stocazzo edizioni sia».

In Pococondriaco e nei tuoi libri precedenti c’è sempre la storia della tua famiglia. Perché?

«Ho scritto tre libri autobiografici, in concomitanza con tre botte di sfiga. Ogni volta che mi capita qualcosa di brutto io mi metto a scrivere, quindi prendo la tua domanda come un augurio: che il prossimo non sia autobiografico. E poi, conosci quella frase che dice “Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quella famiglia è finita?”. Ecco, appunto».

Cosa speri diventi Stocazzo?

«Non so cosa spero che diventi Stocazzo, non mi piace sperare. Ed è possibile, anche se per adesso pubblica solo me, che un domani si apra a nuove voci. Quel che so per certo è che ho parlato, telefonicamente e in chat, con migliaia di persone in questi due mesi, ascoltando storie incredibili. I social sono un romanzo collettivo, scritto a milioni di mani, di cui nutro un rispetto profondo. La mia diagnosi – da ipocondriaco, diagnostico ogni minuto – è che i lettori, nonostante i dati deprimenti, sono vivi, vegeti, appassionati, innamorati di quel prodotto cartonato che si legge da sinistra a destra, se non sei giapponese. E’ il mondo editoriale, comatoso da anni, che ci sta abbandonando, e da troppo tempo non riesce più a sentire cosa vuole la gente quando si parla di letteratura. Discorso lungo, e complesso. Senza voler annoiare nessuno: il 70 per cento dei lettori di Stocazzo deve fare 100 chilometri per raggiungere la libreria più vicina. Cento chilometri per annusare, sfiorare, guardare negli occhi un libro. Io questi lettori li scovo, li ascolto, li amo, li convinco. All’inizio qualcuno rimane un pochino interdetto, ma poi leggono il mio libro e scoppia la magia. Torno a essere uno scrittore, e loro iniziano ad amarmi per quello che sono».

Di Pococondriaco Sbordoni ha realizzato solo 1.000 copie e il libro non sarà ristampato: chi vuole acquistarlo deve contattare lo scrittore su Facebook e lo riceverà a casa.

Io non ho resistito alla curiosità e l’ho ordinato: la mia copia è la 918 quindi ne restano poche.

In bocca al lupo Stocazzo!

2 commenti su “Maurizio Sbordoni, che ha chiamato la sua casa editrice Stocazzo”

  1. Grazie Monica. Questa è la cosa più bella che leggo da anni. Semplicemente tutto meraviglioso!

    Mi è sembrato di risentire quel “sei bravissima” che da un decennio mi sento ripetere da tutti i datori di lavoro che in tanto tempo si sono nutriti di me lasciandomi poi alla fine con pochi granelli di sabbia tra le mani. E magari fosse stata la sabbia del mare…

    Magari è il momento giusto per cui io possa scrivere un libro.

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