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Il Lacor Hospital di Gulu raccontato da Mauro Fermariello

Oggi vi racconto una storia che mi è stata raccontata. Anzi, ve la accenno soltanto, perché vale la pena conoscerla da chi l’ha vissuta veramente.

La storia è quella di un viaggio a Gulu, in Uganda, e di ciò che la Fondazione Piero e Lucille Corti fa al Lacor Hospital.

Piero Corti e la moglie Lucille Teasdale.
Piero Corti e la moglie Lucille Teasdale.

Piero Corti e Lucille Teasdale  erano due persone straordinarie, che io ho conosciuto molto molto tempo fa. A Gulu arrivarono nel 1961: due anni prima, nella savana dell’Uganda del nord, i missionari Comboniani avevano fondato un piccolo ospedale. All’epoca Piero e Lucille erano due giovani medici: si sposarono nella cappella del St. Mary’s Hospital Lacor, e dedicarono tutta l’esistenza a una struttura che poco per volta si è ingrandita. Tanto ingrandita.

Solo due cose per darvi un’idea.

La prima: tra il 1995 e il 2006, nella guerra civile durante la quale più di 30 mila bambini vennero rapiti nell’area destinati a diventare “bambini soldato”, 10 mila persone passarono le notti in quel luogo sicuro, al riparo degli attacchi dei ribelli.

La seconda. Nei primi anni 2000, durante l’epidemia di ebola, il dottor Matthew Lukwiya, direttore sanitario del Lacor Hospital, fu il primo a capire di cosa si trattasse e cominciò a combattere per contenere la diffusione del male. Il dottor Matthew Lukwiya morì contagiato dal virus, come altri 12 membri dell’ospedale, dopo aver soccorso migliaia di malati.

Mauro Fermariello
Mauro Fermariello

Chi oggi racconta qui la storia di quell’ospedale, 250 mila pazienti curati ogni anno, di cui ora si occupa Dominique Corti, unica figlia di Piero e Lucille, è Mauro Fermariello, che ieri mi ha scritto una mail: «O triglia, guarda un po’ dove sono e diffondi, che è una buona causa».

Mauro è un fotografo proprio bravo e non lo dico soltanto perché con lui ne ho combinate di ogni, dalla Bosnia a Cernobil, dall’Albania all’Iraq. Ieri, quando ho letto la mail, ho provato una strana morsa allo stomaco: poteva essere il troppo cioccolato che ingoio per sopravvivere, ma più probabilmente si trattava di invidia. Però, vi giuro, invidia buona. Così oggi eccomi qui a diffondere.

Mauro al Lacor Hospital c’era già stato dieci anni fa. Oggi è ritornato e sul suo blog sta raccontando a puntate una storia che io davvero vi chiedo (raccomando, ordino) di andare a leggere.

Non solo perché è una bella storia di solidarietà, che già di per sé sarebbe abbastanza. Ma perché è raccontata in un modo irresistibile. E sa spiegare, meglio di tanti reportage di giornalisti “navigati”, quanto grande sia l’importanza del lavoro di uomini e donne coraggiosi, e, insieme, l’incredibile serenità di chi ha deciso di spendere la sua vita o parte di essa in contesti molto complicati (per non dire difficilissimi).

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Vi dicevo: leggete la storia di Mauro. Io vi anticipo poco, perché è giusto che sia lui a raccontarla.

Però… la cronaca del parto di un bel maschietto di tre chili e mezzo merita subito queste righe: «Le infermiere» racconta Mauro nel suo reportage «chiedono lo spelling del mio nome. Glielo do, ma non capisco. Mi spiegano che è uso dare al bambino il nome dell’ospite eventualmente presente. Ne sono lusingato, ma cerco di oppormi, mi sembra troppo onore, e poi penso al povero bimbo, che per tutta la vita dovrà rispondere a tutti quelli che gli chiederanno: “Ma, Mauro, che caspita significa?”».

Il neonato Mauro (perché a Gulu nessuno dimentichi Mauro Fermariello)
Il neonato Mauro (perché a Gulu nessuno dimentichi Mauro Fermariello)

Non finisce qui. Altro giorno, altro parto. «Il medico mi chiede come mi chiamo, e io in un lampo mi vedo, tra qualche anno, visitare un villaggio abitato da tutti ragazzini che si chiamano Mauro, e non glielo dico. Poi casomai il papà voleva chiamarlo Ciro, come suo padre, cosa c’entravo io?».

Ecco, cliccate su questo link. A oggi trovate dieci puntate, ma già domani saranno di più. E se alla fine di questa storia meravigliosa avrete voglia di dare una mano alla Fondazione Corti, bene, vorrà dire che il lavoro del Fermariello ha (ancora una volta) colpito nel segno (ve lo dice una che le puntate le ha lette tutte e ora è in preda a un altro attacco di invidia… ma buona eh!).

* tutte le foto, a eccezione di quella di Piero e Lucille Corti, sono tratte dal reportage di Mauro Fermariello (che mi perdonerà di aver “piratato” parte del suo lavoro…)

 

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