là nel mare

Là, nel mare tra l’Africa e l’Italia… 

Avevano pagato mille dollari ciascuno ai trafficanti libici per poter salire sulla barca che li avrebbe portati in Italia. E quando finalmente era arrivato il loro turno, là nel porto di Misurata, Anaya, ragazza etiope di 26 anni sposata a un eritreo, era ormai incinta di nove mesi.

Ma per fuggire alla guerra era disposta a tutto, persino ad affrontare il mare.Il suo bambino sarebbe nato in pace.
Così, con altri 330 tra somali ed eritrei, Anaya e il marito erano saliti a bordo di un vecchio barcone. A 60 miglia da Lampedusa il motore si era rotto, la carretta era rimasta bloccata, con il suo carico umano, con altre donne incinte come lei e dieci bambini dai venti mesi ai sette anni, senza più cibo né acqua. Intorno a sé Anaya vedeva solo onde alte che le facevano paura. Proprio a quelle onde aveva dato la colpa del suo malessere, quando aveva cominciato a sentire i dolori. Ma era bastato poco a capire che era venuto il momento.

Lì in mare aperto, su una barca senza più motore, le erano iniziate le doglie.

Anaya deve la vita a uno dei pochi cellulari che ancora funzionavano su quel barcone. E a quel numero che Brahane, giovane eritreo, aveva con sé. Il telefono di don Mosè, presidente dell’agenzia Habeshia per la Cooperazione allo sviluppo che si occupa di assistenza ai rifugiati.Brahane avrebbe dovuto chiamarlo, una volta in Italia. Invece la telefonata era partita subito… Fate presto… aiutateci. La situazione sulla barca è sempre più difficile. Una donna ha partorito. Non possiamo resistere a lungo.
Un drammatico sos che il religioso aveva immediatamente trasmesso alle lance della Guardia di finanza e della Guardia costiera che pattugliavano le coste.
Mentre Anaya dava alla luce il suo bambino in mezzo al mare, i medici del Corpo di soccorso dell’Ordine di Malta, sulle motovedette giorno e notte, raggiungevano il barcone e la giovane mamma. Poi un elicottero li portava, lei con il suo bimbo e il marito, a Lampedusa.
Nell’ambulatorio dell’isola, Anaya è  stata medicata, e al bambino è stato fatto il primo bagnetto.
I genitori l’hanno chiamato Yeabsera, che significa dono di Dio. **

** tratto da L’altra faccia della Terra (Mondadori Strade Blu)

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La foto che vedete qui è stata scattata da Massimo Sestini il 7 giugno 2014, nel tratto di mare tra l’Africa e Malta. Per 12 giorni il fotografo italiano è stato sulla nave Bergamini, impegnata a salvare migranti. L’immagine è stata scelta dalla rivista Time per la top ten del 2014. «Erano 500» ha spiegato Sestini al giornale.
Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nel 2014 quasi 350 mila persone in tutto il mondo hanno affrontato il mare in cerca di asilo e di una opportunità di vita. Quasi 4.500 le vittime. Tra queste, circa 3.500 i morti nel Mediterraneo, diventato il più letale dei tragitti. Migranti che navigavano su barche simili, e che sono annegati senza che nessuno li vedesse.

Foto di apertura tratta dal docufilm Fuocoammare diretto da Gianfranco Rosi.

 

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