ivano fossati

Ivano Fossati e il tempo per ricordare cosa significa dignità

Dicono che c’è un tempo per seminare
E uno che hai voglia ad aspettare
Un tempo sognato che viene di notte
E un altro di giorno teso
Come un lino a sventolare

Inizia così “C’è tempo”, una tra le canzoni più belle di Ivano Fossati.

L’ho ascoltata mille volte ma qualche giorno fa, dopo aver letto l’intervista che il cantautore genovese ha rilasciato a Walter Veltroni sul Corriere della Sera, l’ho cercata su youtube (stavo lavorando al computer) ed è come l’avessi sentita per la prima volta.

Fossati, che oggi ha 67 anni, ha fatto qualcosa di straordinario, oltre a tante straordinarie canzoni. A 60 anni compiuti ha detto addio ai concerti. Non l’addio di quegli artisti che dopo qualche mese tornano sul palco. Il suo è stato un addio definitivo.

«Credo di aver deciso trent’anni prima di annunciarlo» ha detto a Veltroni. «Ha pesato il mondo dal quale provengo. Mio nonno lavorava in una conceria, lavoro duro. Mi ha fatto capire che non era giusto dedicare tutta la vita a quello che si faceva, anche se era una cosa bella. Nella sua idea un terzo della vita doveva essere libero, dedicato a quello che tu sogni di fare, a quello che ti regala serenità, felicità».

Serenità, felicità sono parole che potrebbero apparire scontate, se non fosse che non c’è più nulla di loro nelle nostre esistenze. Fatte di corse disperate, di clacson suonati rabbiosamente se l’auto che ci precede rallenta, di agende da sfinimento piene di appuntamenti, di amici che non sono più tali perché con loro ci si sente ogni tanto e solo per mail, di libri non letti, di musica non ascoltata. Di una rincorsa a qualcosa che probabilmente non raggiungeremo mai.

Ma non è solo riflessione individuale. Vale per la società in cui ci muoviamo, per quella politica che si strappa i capelli di fronte alla crescita che rallenta e ai consumi che calano, problemi certo per l’economia dell’Italia e dell’Europa, ma ne varrà la pena? Una politica che scappa, che corre via, di fronte a quelle che sono responsabilità grandi, come l’accoglienza, la solidarietà. E l’intelligenza di capire che la gente ha bisogno di interventi concreti ma anche etici.

«Quando ho preso la decisione molti dicevano: “Ma sei sicuro di quello che stai per fare?”. L’unica cosa che mi è accaduta è stata poter alzare lo sguardo. Una cosa bella. Finalmente vedere le cose non più in relazione al mio lavoro. Non più guardare questo mazzo di fiori pensando di raccontarlo. Non più guardare una strada di New York per raccontarla. Quando alzi lo sguardo finalmente le cose ti appaiono più chiare. Per me questa scelta aveva a che fare con la dignità».

Io che ho passato la vita a guardare le cose cercando una notizia da raccontare mi sono fermata ad “ascoltare” queste parole. In un’epoca come la nostra, di fronte a una storia ostile e dolorosa, rabbiosa e respingente e anche inquietante, dovremmo tutti cogliere l’esempio di Ivano Fossati. E prenderci del tempo: ce ne vuole davvero tanto per tornare a ricordare cosa significa dignità.

***

Nota a margine. Mi auguro che i nuovi movimentisti non scambino queste parole per un manifesto dell’accidia radical chic e  – cosa più difficile ancora – spero di trovare qualcuno che sappia raccontare la vita nelle canzoni come ha fatto fino a ieri Ivano Fossati.

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