Ma vogliamo davvero eliminare l’Isis?

In questi giorni di cronache, testimonianze, analisi, accuse, attacchi, “guerra” su tutte le prime pagine dei giornali (e tanta retorica), in questi giorni che seguono l’attacco a Parigi da parte dei terroristi dell’Isis, io ho imparato una cosa.

E’ arrivato il momento di smettere di contarcela.

Che è la sintesi del pensiero che avevo sentito espresso in un corso sul Califfato e il terrore da Michele Molinari, il corrispondente da Gerusalemme de La Stampa. «L’errore più grande che possiamo fare» aveva detto «è quello di pensare di “essere fuori, lontani” dal pericolo di attacchi, di pensare di “non far parte” degli obiettivi di un terrorismo ormai globale come è quello dello Stato islamico. Lontani non solo geograficamente ma anche nella percezione di quanto invece ci sta accadendo intorno. Se vorrà salvarsi, l’Europa dovrà adottare misure di sicurezza straordinarie, che limiteranno pesantemente la libertà di ciascuno di noi».

Era un invito a svegliarci.

Perché, nonostante la Siria, la Libia, l’Iraq, nonostante tanti attentati (in quel periodo a Sousse in Tunisia, a Saint-Quentin-Fallavier in Francia e in Kuwait, ma altri c’erano stati prima e altri sarebbero seguiti), nonostante immagini come quelle del bambino che, accanto a un militante dell’Is, sparava in fronte a un prigioniero e poi esultava, arma al cielo; nonostante le esecuzioni feroci “in diretta”, continuavamo tutti a far finta di niente.

Invece è arrivato il momento di guardare in faccia la realtà.

Che non è solo capire quanto ciascuno di noi “sia dentro” a questa situazione. Ma quanto grandi siano le responsabilità della politica.

Lo ha detto bene il professor Romano Prodi ospite di Che tempo che fa di domenica scorsa. «I terroristi dell’Isis si finanziano con i rapimenti, il commercio di droga, il traffico di migranti. E anche con il commercio del petrolio» ha spiegato con lo sguardo di chi pensa di dire una ovvietà. «Ne vendono 40 mila barili al giorno a intermediari che li comprano a prezzi un po’ più bassi di quelli di mercato. Un commercio che porta nelle case dei jihadisti un milione e mezzo di dollari al giorno e che sarebbe relativamente facile da tracciare. Se solo le grandi potenze, America, Russia e Cina, si mettessero d’accordo, potrebbero togliere l’acqua in cui nuotano i terroristi dell’Isis. Ma in Medio Oriente ognuno ha i suoi interessi specifici, l’indebolimento di alcuni diventa la forza di altri… e così…». E così è più facile non vedere.

E’ il momento di smettere di contarcela.

Lo spiega benissimo Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana.

«Dell’Isis e delle sue efferatezze sappiamo tutto da anni» scrive. «E’ stato armato, finanziato e organizzato dalle monarchie del Golfo, prima fra tutte l’Arabia Saudita, con la compiacenza degli Stati Uniti e la colpevole indifferenza dell’Europa». E aggiunge: «Abbiamo provato a tagliare qualche canale tra l’Isis e i suoi padrini? No. Abbiamo provato a svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi? No, al contrario l’abbiamo riempito, con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell’importazione di armi, vendute (a loro e ad altri) da Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia. Solo l’altro giorno, il premier Renzi era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico più integralista, più legato all’Isis e più dedito al sostegno di tutte le forme di estremismo islamico del mondo. La verità è questa: se vogliamo eliminare l’Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi. Facciamoci piuttosto la domanda: vogliamo davvero eliminare l’Isis?».

Ecco, vogliamo davvero eliminare l’Isis? Smettiamo di contarcela. E ancora prima di gridare alla guerra e ai bombardamenti, pretendiamo una risposta sincera a questa domanda.

Foto DALLARETE

 

 

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