Emmanuel e Chimiary: cosa mi ha colpito della loro storia

Della storia di Emmanuel Chidi Namdi, ragazzo nigeriano di 36 anni ammazzato di botte a Fermo da un italiano di 39 anni che prima di aggredirlo aveva insultato la moglie Chimiary, 24 anni, definendola “scimmia africana”, mi hanno colpito alcune cose.

Il racconto di quelle terribili ore fatto da Massimo Rossi, ex presidente della Provincia di Ascoli: «Chimiary è stremata, distrutta, inconsolabile. Qui nel reparto rianimazione dell’ospedale, le stanno proponendo la donazione degli organi di Emanuel, per dare la vita, magari, a quattro nostri connazionali…

Lui, Emmanuel, che era scampato agli orrori di Boko Haram nella sua Nigeria; con lei, la sua amata compagna, era sopravvissuto alla traversata del deserto, alle indicibili violenze della Libia, alla tragica lotteria della traversata del mare. Da noi si aspettava finalmente umanità, protezione e asilo.

A Fermo, nella mia “tranquilla” provincia, ha invece incontrato

la barbarie razzista che cresce nell’indifferenza, nell’indulgenza e nella compiacenza di larghi settori della comunità, della politica, delle istituzioni.

L’hanno ammazzato di botte dopo averlo provocato, paragonandolo a una scimmia, due picchiatori, figli della città, cresciuti nell’umus del fascistume infiltrato ampiamente nella tifoseria ultras. Loro, che paragonarli alle bestie offende l’intera specie animale.

Le mie lacrime, le nostre lacrime e la nostra vergogna per questo orrore che si è nutrito della putrefazione della nostra insensibilità, del nostro egoismo e delle nostre paure non basta affatto. Cosa dobbiamo attendere ancora per mettere al bando con ogni mezzo, tutti noi, cittadini e Istituzioni, il razzismo e fascismo che si annida nella nostra vita sociale e politica?».

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Il canto con cui Chimiary ha voluto ricordare il suo Emmanuel nella veglia nel seminario arcivescovile di Fermo, il paese dove la coppia viveva da otto mesi nell’ambito del progetto di accoglienza della Fondazione Caritas in veritate di don Vinicio Albanesi.

Una veglia che la Comunità di Capodarco racconta così: «Un cerchio di candele nel prato di fronte al seminario e intorno tante persone, circa 500: un anello dentro l’altro che si allarga man mano che la gente arriva, in silenzio: famiglie, scout, tanti ragazzi e bambini, etnie diverse e nazionalità che si mischiano, le istituzioni, i parroci, i volontari.

Si stringono intorno a Chimiary arrivata qualche minuto prima che la cerimonia inizi dall’ospedale. Vestita di bianco, bianco anche il foulard che le raccoglie i capelli, sorretta da due giovani suore, Rita e Filomena, che non l’hanno lasciata un attimo da quando tutto è cambiato, nel pomeriggio di martedì.

Seduta, tra le lacrime che non possono smettere di cadere, ascolta le parole che le vengono rivolte, quelle istituzionali e quelle della gente comune, e poi chiede anche lei di intervenire, di poter cantare  per Emmanuel: un voce profonda, stanchissima e rotta dal pianto che chiede perché e dice che non vuole vivere se non può più avere il suo uomo con se.

“Dio dove sei? Perché mi hai lasciato in questo mondo cattivo senza Emmanuel? Vivere da soli è uccidere la mia vita”.

Questo, dice, è il senso della canzone. Perché quella di Emmanuel e Chimiary è una grande storia d’amore che ha resistito alle violenza e all’orrore».

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E poi mi hanno colpito le parole di Michela Murgia, pubblicate sulla sua pagina Facebook. Sono parole che dicono tanto.

«I cattivi maestri del fascista e razzista che ha ucciso Emmanuel Chidi Namdi e picchiato sua moglie Chimiary siedono in Senato: sono quelli che dieci mesi fa hanno negato l’autorizzazione a procedere contro Calderoli quando diede dell’orango a Cecile Kyenge.

Era critica politica, affermarono, mica razzismo, e lo dissero senza distinzione di partito, compresi 81 senatori del Pd e 3 di Sel che oggi si dichiareranno certamente sconvolti e turbati davanti a tutti i microfoni dei media.

Questo succede a pensare che le parole non abbiano conseguenze.

Ipocriti».

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