Charlie Hebdo. Ci vogliono nemici gli uni degli altri

Cosa ne pensi tu? Ce lo chiediamo tra noi da ieri, da quando le prime immagini dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo ci hanno inchiodato davanti agli schermi dei computer e della televisione. Che cosa ne pensi tu? E ognuno cerca una risposta che abbia un senso, che dia un significato a una strage che ne è priva.

La mia risposta è senza parole, muta.

Davanti alle immagini di quell’uomo vestito di nero che dà il colpo di grazia al poliziotto inerme –  per terra con le mani alzate -, davanti alle foto dell’ufficio dove il direttore e i giornalisti del settimanale satirico parigino tenevano la loro riunione settimanale – una stanza sfregiata dal sangue di chi è morto dopo essere stato chiamato per nome dal suo assassino -, davanti al rigurgito d’odio xenofobo che sempre segue fatti orrendi come quello di ieri a Parigi, io non ho parole.

Trattengo il respiro in un’apnea che sospende il pensiero.
Perché è questo che voglio: non pensare.
Non voglio pensare di vivere in guerra.
Voglio vivere in pace.

«È in corso la terza guerra mondiale. Ed è ora che il mondo islamico risponda ai compagni che sbagliano, come fece la sinistra con le Brigate Rosse» ha commentato oggi su Repubblica Michele Serra, mettendo insieme due momenti storici che mi sembrano lontanissimi tra loro.
Ma di guerre sempre si tratta, in fondo.

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Hanno sparato gridando Allah Akbar, Dio è grande.
Not in my name è il titolo della bella campagna con la quale migliaia di musulmani hanno deciso di dire la loro su un certo tipo di Islam dal quale non si sentono rappresentati. «Not in my name» scrive su Internazionale Igiaba Scego (scrittrice italiana di origine somala, 40 anni, il suo nome completo è Suban Igiaba Ali Omar Scego). «Sono stufa di essere associata a gente che uccide, massacra, stupra, decapita e piscia sui valori democratici in cui credo e lo fa per di più usando il nome della mia religione. Basta! … Vorrei che ogni imam in ogni moschea d’Europa lo dicesse forte e chiaro. Sono stufa di veder così sporcato il nome di una religione. Non è giusto. Come non è giusto veder vilipesi quei valori di convivenza e pace su cui è fondata l’Unione europea di cui sono cittadina. Sono stufa di chi non rispetta il diritto di ridere del prossimo. Stufa di vedere ogni giorno, da Parigi a Peshawar, scorrere sangue innocente».

#JeSuisCharlie, Io sono Charlie, siamo tutti Charlie.  Sui social, centinaia di migliaia di persone stanno esprimendo solidarietà al giornale attaccato, e condannano gli assassini.

«#JeSuisCharlie. Noi penna. Voi kalashnikov. Noi risata, tolleranza, libertà e vita. Voi silenzio, morte che vi divorerà. La penna non si fermerà».

C’è la caccia all’uomo ora in Francia. C’è un paese nel nord della Francia, Corcy, in Piccardia, su cui si stanno dirigendo 90 mila tra militari e agenti di polizia. Dicono che i terroristi siano asserragliati in una casa. Tutti i bambini sono barricati nelle scuole.

È guerra questa? È guerra. È la guerra che vogliono i terroristi che hanno fatto strage nella redazione di  Charlie Hebdo. Scrive Igiaba Scego: «L’Europa è formata da cittadini ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, atei e così via. Siamo in tanti e conviviamo. Certo il continente zoppica, la crisi è dura, ma siamo insieme ed è questo che conta. I killer professionisti e ben addestrati che hanno colpito Charlie Hebdo vogliono il caos. Vogliono un’Europa piena di paura, dove il cittadino sia nemico del suo prossimo».

Ci vogliono nemici gli uni degli altri. Ma noi siamo insieme ed è questo che conta oggi. Che conta davvero.

 

 

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