Ahmadreza Djalali

Ahmad, il ricercatore di Novara condannato a morte in Iran

Voglio raccontarvi la storia di Ahmadreza Djalali che ha 46 anni, è iraniano, ha una bella famiglia e tra una manciata di giorni verrà giustiziato nella prigione di Evin a Teheran. Condannato il 21 ottobre 2017 per spionaggio dopo un processo con due sole udienze.

Ahmadreza Djalali è sposato, è papà di due bambini ed è un medico. Dopo il dottorato di ricerca che ha conseguito al Karolinska Institute di Solna, pochi chilometri da Stoccolma, in Svezia, si è trasferito per quattro anni in Italia, a Novara, dove ha lavorato come senior scientist presso il Crimedin, il centro di ricerca in medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale, con cui ha continuato a collaborare fino al momento del suo arresto.

L’hanno rinchiuso in prigione un giorno di aprile dello scorso anno, mentre era in Iran invitato dall’Università per uno dei workshop che teneva, ogni sei mesi, nel suo Paese di origine. E’ rimasto in isolamento per 7 mesi senza poter essere difeso da un avvocato.  A dicembre ha iniziato uno sciopero della fame che ha compromesso la sua salute.

Ahmadreza Djalali è accusato di essere una spia e di aver collaborato con Stati nemici. “Colpevole” di lavorare insieme a ricercatori provenienti da Italia, Israele, Svezia, Stati Uniti e il Medio Oriente, con l’obiettivo di migliorare gli ospedali dei Paesi colpiti da disastri e conflitti.

Ahmadreza Djalali
Ahmadreza Djalali durante una lezione all’Universitò.

Pare che gli abbiano estorto una confessione. Djalali ha detto alla moglie di essere stato forzato a firmare “qualcosa”: in caso contrario avrebbero fatto del male alla sua famiglia. Ma non vi è nessuna prova contro di lui.

«Sono passati nove mesi dall’arresto di mio marito in Iran» ha raccontato la moglie Vida Mehrannia al Corriere della Sera che l’ha raggiunta a Stoccolma, dove vive con i figli di 5 e 13 anni. «All’inizio non ho denunciato la cosa perché un poliziotto ha chiamato la mia famiglia a Teheran avvertendo che non dovevo parlarne. Ma non posso più tacere: ieri Ahmad ha chiamato sua sorella, le ha detto che sarà impiccato. Pensano sia una spia. Ma è solo un ricercatore».

Ahmadreza Djalali
Il dottor Ahmadreza Djalali con uno dei due figli.

I medici che hanno lavorato con lui hanno chiesto ai governi italiano e svedese di intervenire, e non si spiegano le accuse: forse l’aver firmato articoli specialistici con ricercatori sauditi, o l’avere insegnato con professori israeliani o aver partecipato a un progetto finanziato dall’Unione Europea sulla gestione di emergenze radiologiche, chimiche e nucleari insieme a un esperto israeliano.

«La vicenda lascia sbigottiti e attoniti» ha detto il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, che si è unito agli appelli dei colleghi di Djalali, del rettore della Università del Piemonte Orientale Cesare Emanuel (che ha dedicato la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico a Vercelli al medico iraniano) e della comunità scientifica internazionale per chiedere l’immediato rilascio del dottor Djalali.

Quello che ora è importante è che su Ahmadreza Djalali non scenda il silenzio.

Tutti noi possiamo firmare l’appello di Amnesty International  e seguire l’evoluzione della vicenda sulla pagina Facebook #SaveAhmad.

  • aggiornato il 23 ottobre 2017

 

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