Il no dell’insegnante al lavoro senza dignità

Oggi ho letto la lettera che un’insegnante precaria di 44 anni («faccio con passione la pendolare da 13, insegno Latino, Greco e materie letterarie nei licei classici della provincia di Napoli»), ha scritto a Repubblica per spiegare perché ha rifiutato l’assunzione. Anzi, “la deportazione” come l’hanno definita tanti come lei, riferendosi alla destinazione che può essere ovunque.

Deportazione è un termine certo molto forte, così chi l’ha usato si è tirato sulla testa una bella quantità di critiche. In effetti la prima reazione, quella che si ha senza molto pensare, è: «Ma come si fa a rifiutare un posto di lavoro?». E su questo si può essere più o meno d’accordo.

Però… Però bisogna leggerla, la lettera di questa insegnante precaria di 44 anni.

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Contro l’insulto a Mika #rompiamoilsilenzio

Ci sono brutte storie che a volte si rivelano positive. Io sono convinta che quella dell’insulto omofobo al cantante anglo-libanese Mika sia una di queste.

Una storia iniziata in modo odioso (“frocio” scritto su un manifesto che pubblicizzava un suo prossimo concerto a Firenze) ma conclusa bene, con la solidarietà convinta di tanti e un “passaparola” sui social che conferma che i pregiudizi cattivi si possono vincere se – su di loro e su chi li ha – tutti insieme si rompe il silenzio.

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